Biography

Francesco Impellizzeri nasce a Trapani nel 1958 e si laurea in Pittura all'Accademia di Belle Arti di Roma, dove vive e lavora.

Nelle prime esposizioni degli anni ottanta ha privilegiato la figura per poi proseguire con una ricerca pittorica su segno/colore in rapporto alla musica e al ritmo.

La performance "Strilli" del 1990 alla Temple University Gallery di Roma ha visto la nascita del primo personaggio:
UNPOPOP, che canta d'arte contemporanea e critica giocosamente la nostra società.

Da quel momento si susseguono performance e nascono nuovi stereotipi,
mentre foto, pittura e video completano le mostre dapprima presso alcune importanti gallerie romane (La Nuova Pesa, Il Ponte Contemporanea, ecc.)
e poi in musei e istituzioni nazionali come la Biennale di Venezia.

Dal 1997 al 2007 espone con la galleria Espacio Minimo di Madrid
e nel 2003 alla mostra itinerante Don't call it performance che,
 dal Museo Reina Sofia si conclude al Museo del Barrio di New York. 

Nei primi anni del 2000 ha presentato i “Pensierini”:
fogli di quaderno delle scuole elementari in cui sono commentati fatti di costume, politici e privati ​​​​​visti come da occhi infantili
ma il cui contenuto e disegno rivelano l'ironico mondo che l'artista ha sempre raccontato.

Nelle ultime opere il colore della ricerca cromatica iniziale si fonde con i testi dipinti in argento,
presentati anche attraverso installazioni arricchite da suoni o performance musicali.

Ha proposto i suoi lavori e performance anche in gallerie internazionali e Istituti Italiani di Cultura,
in diverse fiere internazionali e partecipando a trasmissioni televisive e film.

Dal 1987 al 2014 è stato collaboratore dell'artista Carla Accardi e oggi fa parte del comitato scientifico dell'archivio Accardi Sanfilippo.

1978 Roma

Ritratto di Francesco Impellizzeri , Roma 1979

foto © Tonino Scozzari 









Francesco Impellizzeri, Roma 2022, foto Mikele Abramo

Ritratto di Francesco Impellizzeri, Roma 2022

foto © Mikele Abramo

 
Principali Personali e Performances

2022   STAI UNA FAVOLA – Studio Provenzano, Palermo
2021   DonAzione – Museo Antonio Pasqualino, Palermo
2019   Prismatica – con Carla Accardi, Santo Ficara, Firenze  
          Ricordo - Museo delle Trame Mediterranee, Gibellina (TP)
          Sagome alla Ribalta – Polo Museale A. Cordici, Erice (TP)
          Un bel ricordo è già ritorno – Museo San Rocco, Trapani
2017   Walking Man – Performance alla Temple University Gallery, Roma
2016   M'è nnata un'idea, Transfusioni #1 – Performance alla Fondazione Menna, Roma 
          Duplice GenerAzione – con Tomaso Binga, Galleria Temple University, Roma 
2015   InCanto Italiano con M. Abramo, Circolo del Consolato Italiano, Gedda (Arabia Saudita)
2014  Arte Clandestina -   con M. Abramo, Museo delle Trame del Mediterraneo, Gibellina (TP)
2013 Vocalizzo in Scala C- Performance Studio Impellizzeri, Roma  
          TUfffO – Spettacolo Torre di Mola, Formia
2012   Non c'è Myra senza Vidal – Whitecubealpigneto, Roma
2011   Qui la luce è diversa - Performance Istituto Italiano di Cultura, Strasburgo
2010   Signore e signori buona sera - Performance Artandgallery, Milano 
           IMPELLIZZERI XX - MLAC Museo Laboratorio Arte Contemp. Università Sapienza, Roma 
2007   Motociclo” – Performance DA2 Museo Arte Contemporanea, Salamanca (Spagna)
          Riassunto:   Pensierini, parole e….. – Bonelli Arte Contemporanea, Mantova

2006   ArtSaint Loop – Performance ARCO stand Galleria Espacio Minimo, Madrid (Spagna)

2005   Pensierini – Performance Spazio Symphonia, Milano

          Desfilè : Mannequin per nient – ​​EVERY/BODY, Performance Villa Manin, Passariano (UD)

2004   Su carta – (con Carla Accardi) AAM Archiettura, Roma

          Pensierini y palabras – Galleria Espacio Minimo, Madrid - Spagna

2003   Flambè Dreams    Performance Buia Gallery, New York - USA

2002   …o0O!!! –Shock & Show, Performance C/Zone, Trieste 

2001   Videoclippami – Galleria Espacio Minimo, Madrid

          Gnam,Gnam – Performance MACRO, Roma 

          Motocicletta – Performance Forum Fabricum, Lodz e Contemp. Centro d'Arte, Poznan (Polonia)

2000   Meteorismi – Progetto Il Ponte Contemporanea, Roma 

          Rinkoboy – Performance Galleria Estro, Padova

1999   Desfilè : Mannequin per nient – ​​Corporea, Performance Castello di Rivara, Torino 

1998   Peep Show della Guardia del Corpo – Spettacolo, Il Ponte Contemporanea, Roma

1996   Uno & Trinox – Galleria Oddi Baglioni, Roma 

          L'Angelo Candito – Performance Artisti alla Finestra, Ostuni (BA) a cura della gall. Zelig

          Larvamento amoroso di Rokkodrillo – Performance per P. Pascali, Polignano a mare (BA) 

1995   Giochi di Corte o di Cortile – Spettacolo Trevi Flash Art Museum, Teatro Clitunno, Trevi (PG) 

          Rinfacci – Delitto Perfetto, Monti ass. cult., Roma

1994   Unpopop – Besos, Canciones, Santo y Estrellas, Ateneu de Cadaques, Spagna

1993   Canzoni in Vetrina per la Biennale – Galleria Fiorella, Venezia 

1992   Josèphine Baker presenta: Colori Sonori – Performance Galleria La Nuova Pesa, Roma

1990   Strilli – Performance Temple Gallery, Roma

1988 Yma Sumac - Gruppo Dieci, Roma  

1986   Pulsioni Blu Cobalto - Underwood, Roma

1983   Angeli - Torri del Balio, Erice (TP)

1982   Francesco Impellizzeri - Palazzo Riccio di San Gioacchino (TP)

 
Principali Mostre Collettive

2023   Play, sing and dance | non è la performance – Castello di Nocciano (PE)

2022   SUONI – Galleria Giovanni Bonelli, Milano

2021   Le altre opere – Galleria d'Arte Moderna, Roma

2019  15 opere della Collezione Farnesina - Museu Nacional dos Coches, Lisbona e IIC Parigi

       El Ultimo Espaliù – Real Academia di Spagna, Roma

          La linea d'ombra – MACRO, Roma

2018  Dimensione Fragile – Biblioteca Vallicelliana, Roma

          Pensiero Stupendo – Spazio Howtan, Roma

2017   Trasfusioni 1 – Fondazione Menna, Roma

          Luci e Trasparenze – Galerie Etienne de Causans, Parigi

2016   Stills of Peace, Clarté - Palazzo Ducale, Atri (TE )

          Arte in movimento Omaggio a Duchamp – Ex Convento del Ritiro, Siracusa

2015   PRIMO PIANO – Palazzo Collicola Arti Visive, Spoleto

          Le Volets de Noel – Ville de Biot, Francia

2014   In Simbiosi - Accademia di Romania, Roma

2013   TufffO – Torre di Mola, Formia

    Il Corpo Solitario , Palazzo della Penna, Perugia

2012   Intrecci – Granaio del Baglio Di Stefano , Fondazione Orestiadi, Gibellina, (TP)

    Siamo tutti Greci – Museo Benachi, Atene, Grecia

2011   L'intreccio dei viaggi   - Premio Termoli, Galleria Civica Arte Contemporanea, Termoli

          Disin/canto - Performance al Teatro Valle di Roma per il progetto ARIA.

2010  GASP - Galleria di Atre Contemporanea Sistema Paese alla Farnesina, Roma

          Polvere negli occhi, nel cuore sogni – Collezione Permanente Liceo Bafile, L'Aquila

2009   L'Arabesco – Galleria Santo Ficara, Firenze 

2008   Experimenta – Collezione Farnesina, Ministero Affari Esteri, Roma

2007   La luce e l'ombra – Palazzo Pino Pascali, Polignano a Mare (BA)

2006   Progetto Vema - Padiglione Italiano, Biennale Architettura, Venezia

2005   Sfilata delle mucche – Piazza della Repubblica, Firenze

2004   Non chiamatela performance – Museo El Barrio, New York City / DA 2, Salamanca (Spagna) CAAC. Siviglia (Spagna) 

          Melting Music – Galleria Guidi e Schoen, Genova

2003   Non chiamatela performance – Museo Reina Sofia, Madrid / Centro Pàrraga, Murcia (Spagna) 

          Melting Pop – Palazzo delle Papesse, Siena

2002   Via Pal – Il Confine dei pensieri, Galleria Civica d'Arte Contemporanea, Trento

          Il Sogno, il Colore, il Segno – Centro Culturale Italiano, Istanbul (Turchia)

          Una Babele Postmoderna – Palazzo Pigorini. Parma 

2001   Neue Heimat – Galleria Falzone, Mannheim (Germania)

          Tendenze – La Salara, Bologna

          Le Muse Inquietanti – Palazzo Pascali, Polignano a Mare (Ba)

2000   Dalla Mini Al Mini – Cartiere Vannucci, Milano

1999   Progetto Oreste – 48ª Biennale di Venezia, Venezia

          Corporea – Castello di Rivara, Torino a cura di Olga Gambari

          Autoritratti Italiani – Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia 

1998   Contaminazioni 2 – Museo Lab. Università “La Sapienza”, Roma

1997   Ritratti, Ritrattati, Ritrattanti – Galleria Giulia, Roma

          Città Aperta – Ex Manifattura Tabacchi, Città Sant'Angelo (PE) 

1996   Artisti alla finestra – Ostuni (BA) a cura della Gall. Zelig

          Natura, naturans – Museo del Mare, Trieste, a cura di M.Campitelli

1995   Gelo e Disgelo – Palazzo Farnese – Ortona (CH) 

          Furor Populi Forum Popouli – Galleria Monti, Roma

          Artists' Choice – American Academy in Rome, Roma, a cura di M.Boyden

1994   Besos, Canciones, Santos y Estrellas – Ateneu de Cadaques, Cadaques – Spagna

          40x40+40 – Gallo. Menzio, Torino

          Equinozio d'Autunno – Castello di Rivara, Rivara (TO)

1993   Arte Giovane Oggi -   Palazzo della Civiltà Italiana, Roma

1991   Proposizioni Romane – Istituto Italiano di Cultura, Algeri – Algeria

1990   Verba Manent Sripta Volant – Galleria Filippo Fossati, Torino

1989   II° Biennale Giovane Arte Contemporanea – Castello di Sartirana Lomellina (PV)

1988   Pittori & Pittori – Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia

1985  Quartetto alla Torre di Mezzo – Torre di Mezzo, Marausa (TP)

ABOUT ME

dissero, dicono, diranno.

they said, they say, they will say.

FRANCESCO SU CARTA

Gianluca Marziani da ON PAPER - catalogo mostra Accardi Impellizzeri AAM Architettura, Roma, 2004

FRANCESCO IMPELLIZZERI arriva dalla Sicilia, da una Trapani che volentieri chiamo Drepanum (in un latino dalle parti del dialetto siculo), quasi a percepire l’eco arcaica che invade il sottofondo millenario dell’isola.

Francesco, da qui alla fine del testo, lo chiamerò soltanto per nome, proprio perché il legame professionale segue il filo emotivo dello scambio umano, a conferma che i bravi artisti distillano in loro la densità dei migliori sentimenti. Incontrarli è sempre un privilegio, una cura interiore, un dono. Non posso immaginare l’aridità sentimentale come dote di un artista “eucaristico”, uno che dovrebbe produrre un bene prezioso cui attingere con sguardo benevolo. Talvolta accade la mescolanza in negativo, forse neanche di rado. Ma l’opera, ricordiamolo, non perdona e lascia filtrare tutto, anche l’orrido dietro al bello, la rabbia non risolta, il complesso del dubbio malsano.

Personalmente fuggo appena sento energie negative, tutelando le forze complementari che si attirano senza respingersi. Artisti come Francesco mi rinfrancano sulla limpidezza del fare generoso, sull’urgenza espressiva, sulle intuizioni che un autore mescola nella pupilla davanti al mondo. La bellezza del suo talento nasce da un cuore solido ma elastico, da una testa che ama i concetti senza preconcetti, da un disporsi a misura di bellezza e lotta.

Del nostro Francesco ho scritto diverse volte, sottolineando il valore del suo trasformismo fisico ed iconografico. Il risultato delle sue mutazioni spiritualmente invasive? Personalità multiple e dialoganti, personaggi plausibili dalla natura pop, sguardi che combinano linguaggi sul confine mai saturo tra arte e verità. Identità molteplici dentro un unico, grande prisma umano che dirige emozioni e comportamenti, stati d’animo e fisionomie dello spirito. Vedo in Francesco l’archetipo italiano di un modus operandi davvero importante. Qualcosa in cui la lingua del corpo racchiude gli istinti primari del disegno, le nettezze fotografiche, la liberazione pittorica del colore, il flusso mediatico del video, le aperture del momento installativo. Vari linguaggi uniti da un solido flusso dialogante, dentro un organismo sensibile che recupera le incrinature dell’infanzia, le ragioni polivalenti dell’adolescenza, le scelte complicate, la liberazione dai freni inibitori.

La regressione diventa evoluzione, lungo memorie ripescate che si “sporcano” nella lucidità di uno sguardo ormai adulto. L’ultimo ciclo di Francesco cresce così su fogli da scuola elementare, ingranditi con una semplice simulazione del disegno. Sopra le pagine a righe nascono i PENSIERINI, serie di frasi che colgono lo spirito di un’immagine, semplificata e decodificabile come il ricordo di una purezza imperitura. Nei fogli, seguendo i momenti diversi del cammino creativo, si tatua la memoria del gioco caustico, l’ironia velenosa, l’unghia acuminata che carezza e graffia.

FRANCESCO SU CARTA. Francesco da Drepanum. Un’esperienza del disegno dai molti appunti intimi, un tessuto pittorico coi protagonisti di un quindicennio creativo. Drepanum come confine delle origini mai disperse, la cellulosa come terreno privilegiato della memoria.
Geografia e cultura, istinto ed esperienza: sul filo sfuggente di una libertà inseguita in ogni linea, perimetro, colore, segno, dettaglio.

La mano che disegna abbraccia altre forme su carta, disegnate da un’altra mano che adesso ricorda.

Il passato torna continuamente attuale, il presente gioca tra le direzioni del tempo nello spirito liberato dello spazio mentale.

FRANCESCO ON PAPER

Gianluca Marziani from ON PAPER - exhibition catalog Accardi Impellizzeri AAM Architettura, Roma, 2004

FRANCESCO IMPELLIZZERI comes from Sicily’s Trapani, which I like to call it Drepanum (from de Sicilian dialect of Latin), in order to hear the archaic echo that pervades the millenial bedrock of that island.

Francesco – from here until the end I’ll call him by his first name, precisely because professional connections follow the emotional lead of human exchange, which confirms that good artists distill in themselves a density of the best sentiments. To meet him is always a privilege, an interior cure, a gift. I can’t imagine emotional aridity as a quality of a “eucharistic” artist, someone who ought to produce a precious good with which to slake our thirst with a benevolent gaze. Sometimes there is a negative mix, perhaps not even so seldom. But the work, let’s remember, does not pardon, it allows everything to filter through, the horrid behind beauty, unresolved rage, the complex of unhealthy doubt. Personally, I run as soon as I feel negative energy, conserving those complementary forces that attract without repulsion. Artists like Francesco restore me to the clarity of generous action, to expressive urgency to the intuitions that an author mixes together in front of the world. The beauty of his talent stem from a solid but flexible heart, from a mind that loves conceptions without preconceptions, from a a disposition of self to the measure of beauty and struggle.

I’m written about Francesco several times, underlinig the value of his physical and iconographic transformism.

What’s the result of his spiritually invasive mutations? Multiple and dialogic personalities, plausible characters of a pop nature, gazes that combine languages at the border between art and truth.

Multiple identities within one, a great human prism that directs emotions and comportments, states of the soul and physiognomies of the spirit. In Francesco I see the Italian archetype of a truly important modus operandi. Something in which the language, the body’s tongue, enclose the primary instincts of drawing, the precisions of photography, the painterly liberation of color, the media flow of video, the openings of the installation moment. Various languages united by a solid dialogic flow, within a sensitive organism that recuperates the cracks of infancy, the polyvalent reasonings of adolescence, the complicated choices, the liberation from inhibitions.

Regression becomes evolution, distant memories are dredged up to ‘dithy’ themselves in the lucidity of a now adut gaze. Francesco’s latest cycle thus grows on the pages of elementary school, amplified with the simple simulation of drawing. Above the lined pages are the PENSIERINI, the little phrases of schoolbook exercises that hint at the spirit of an image, simplified and decodable like the memory of an imperishable purity. In these pages, following the various moments of the creative path, are tattooed the memory of caustic jokes, of poisonous ironies, of sharpened fingernails that both caress and cut.

FRANCESCO ON PAPER. Francesco of Drepanum. An experience of drawing from many intimate points, a pictorial weave with the protagonists of a creative fifteen-year-old. With Drepanum as the boundary of his never lost origins, the cellulose as the privileged terrain of memory.

Geography and culture instinct and experience: on the fleeing track of a liberty followed in every line, perimeter, color, sign, detail.

The hand that draws embraces other forms on paper, drawn by another hand it now remembers. The past becoming continually actual, the present playing among temporal directions in the liberated spirit of mental space.

NO LO LLAMES PERFORMANCE/DON’T CALL IT PERFORMANCE

A project by Paco Barragán for Berta Sichel

A show organized by the Audiovisuals Department of the Centro de Arte Reina Sofía Nacional (Madrid, Spain), and presented there in 2003. It traveled to Centro Andaluz de Arte Contemporáneo (Seville, Spain), Centro Párraga (Murcia, Spain), DA2 (Salamanca, Spain), Museo del Barrio (New York).

Concept 

The idea underlying performance y casi performance is to push beyond the limits of the Cine y casi cine cycles, venturing into the territory of performance and other related practices. 

The idea was inspired by the enthusiastic acclaim with which Ben Patterson’s intervention was received by the audience, when this veteran was invited to present an action at the Fluxus cycle of talks held in MNCARS’ conference hall. Our proposal for a season of performance y casi performance aims to put forward a score of artists whose work is to some degree marked by, or reminiscent of, the 1970s performance tradition. Indeed, some critics are hailing a positive renaissance of the performance genre. Happenings, tableaux vivants, actions, living sculptures, “one-minutes”... a major part of current artistic practice is clearly descended from 1970s performance. While it is not our intention here to review historical performances in any depth, but rather to present the work of selected artists whose approaches testify to a contemporary revival of interest in the genre, it is nonetheless helpful to point out some essential differences between yesterdays’ performance activity and today’s. 

It is broadly true to say that present-day artists who go in for the genre are intent upon reaching a wide audience. Most performances nowadays take place before an audience, or in a public space. Carefully documented for posterity, they deliberately resort to media such as video, cinema and photography. 

In contrast, classic performances were typically undertaken in out-of-the-way venues or in solitary, since they were often private in character, like Rebecca Horn’s  Körperobjekte. And many remain to us, at best, only in the form of scattered images and texts; others have vanished without trace.

And what about the political drive that powers so much Seventies work? That critical, anti-institutional slant has given way to a more introspective kind of art. Not that political commitment has been totally erased from contemporary works; but it manifests itself more indirectly. In the aftermath of the great ideologies, the artist is bound to be drawn to more private and personal gestures, as befits an ever more individualistic society. The artist no longer purports to speak on behalf of a given gender or racial allegiance, but offers him or herself as simply a person.

Performance and the arts associated with it continue to adopt a critical stance with regard to life in contemporary society. In the past, this implied a willed isolation, a retreat from the city, and a certain solemnity; now, it all takes place among the crowd, in a style that is both breezy and laconic. 

performance y casi performance presents, with no claim to be exhaustive, the work of some twenty artists whose practice displays affinities with some classic predecessors, while stressing that this is merely one facet of their work, and that there is no hierarchy of value between the action and its recording. 

performance y casi performance offers the spectator a chance to experience a direct, non-mediated art form in all its freshness and spontaneity. 

Artistas

Anthony Goicolea, Lee Wen, Ernesto Pujol, Yael Davids, Gustavo Artigas, La Ribot, Clemencia Labin, Liza May Post, Jesús Segura, Joan Morey, Cees Krijnen, Ixone Sadaba, Paco Cao, Erwin Wurm, Club8, Lara Almárcegui, Ene Liis Semper, Praxis, Pablo Helguera, Francesco Impellizeri, Freddie Mercado, Carlos Amorales, Yoshua Okon, Gelatin, Adriana Arenas
Anthony Goicolea is a North American artist of Cuban origin. He is known for staged photographs in which he himself appears, tackling themes related to beauty and narcissism, the grotesque and the perverse. His video performances introduce the element of narrative time in order to realize some intriguing, obsessive behaviours, captured through a decidedly restrained style of camerawork. Lee Wen carries out public performances that explore the (re)construction of identity in all of its aspects. In 1993 he travelled through several countries to record Journey of a Yellow Man, in which Wen appears covered in yellow paint, making the concept of identity into something ambiguous, ironic and hyper-realistic. Ernesto Pujol, another Cuban settled in the US, uses performance to confront themes such as memory, political and sexual identity, and the problem of power. Dressed as a novice monk, he poses sideways on in a state of levitation, in what is a reflection on religion shaped by personal experience. Trained as a dancer, La Ribot turns to her own body as a support that transcends fixed classifications, in order to explore the relations between dance, performance, and visual art. The works that comprise Still Distinguished associate the body with objects and meanings in an ironic fashion. Dutch artist Liza May Post  is one of the best-know new performers on the international circuit. Addressing the fundamental emotions, her pieces are handled with a psychological twist that leans toward absurdity and surrealism, such as we find in the story of the person who tries to climb aboard an elephant, or the one who lies down on the floor of a shopping mall. 
Austrian Erwin Wurm is renowned for his One Minute Sculptures, in which he combines everyday objects with himself, adopting weird poses that are patently too precarious and uncomfortable to keep up for more than a minute. The artist then invites the audience to produce their own sculptures. Joan Morey is a conceptual designer who delves into the clichés that have arisen around the various trends and subcultures of urban youth, including the codification of sexuality, clubbing, design, fashion and advertising. His fashion shows turn the catwalk into a mental act that deconstructs the dynamics of the fashion world. The Venezuelan artist Clemencia Labincarries out actions and performances that revolve around sex and religion. In one she uses a bolero hit –Bésame mucho- to neutralise and manipulate her affective life, dressing in a kind of armoured suit; in another, Ave Purísima, she simulates the processions of Holy Week by a parade of 100 virgins made of see-through acetate, hanging from blue balloons. The young Dutchman Cees Krijnen has turned a painful episode of his personal life into a piece called Financing my Parents’ Divorce. This performance retraces many autobiographical incidents, dissolving the safe distance between creator and work much to the discomfiture of the audience. Mexican artist Gustavo Artigas designs actions that deal with issues of identity and originality: in Duplex, Las reglas del juego, he reminds us that repetition accentuates difference, and multiplicity is the only solution if we wish to put political, racial and religious conflict behind us. Israeli artist Yael Davids pits his body against common objects that turn into corporal extensions and make the living and everyday into something lethal, lest we forget the absurdity of existence. Now based in Rotterdam, the Spaniard Lara Almárcegui takes over the empty spaces of a city in actions that render these as telling as built spaces. For cities are part of a process of historical transformation, and every time a building vanishes, an inner garden comes to light. The Italian artist Francesco Impellizeri holds concert-performances during which the artist steps into the shoes of the characters he invents, using them as voices in which to think about the body and its shifting identities. Impellizeri’s characters undermine taboos with sardonic humour. Yoshua Okon, from Mexico, uses a video camera to record the performances commissioned by him. From a bunch of rowdy teenage girls making obscene gestures, to a policeman dancing to a rap number, he never fails to make a rueful, ironic comment on the human condition in these works. Praxis (Delia Bajo and Brainard Carey) are an art team who work out of their studio. It is a place where any casual passer-by is liable to be offered a service such as having their feet washed, receiving a hug, or even some money... These are direct encounters with the public, based on simple interchanges aimed at bridging the distance between art and life. Club 8, composed of María Cosmes, Carlos Pina, Ángel Pastor, Manuel Morales and Jonathan Blud, is a collective actively devoted to the promotion and dissemination of performance art, by launching a festival, among other activities. Their own contributions are highly varied in form, while displaying a consistent concern for human beings and their relationships.

The Swiss collective Gelatin creates performances that modify space in order to elicit reactions (which can be sometimes quite extreme) from the audience.  Their actions and lectures encourage direct public participation, for they can interest us in anything – a Hawaiian holiday, a tunnel of love or a human elevator.  Puerto Rican artist Freddie Mercado has years of experience in executing “guerrilla” performances that challenge accepted notions of race and gender. Daily he takes to the street disguised as one of his cast of female characters, ranging from working-class Puerto Rican girls to period confections, with frequent Afro-Caribbean touches. Lastly, the Colombian artist Adriana Arenas directs herself in video performances in which she conveys a sense of nostalgia, and the difficulties of cultural crossings..

LO SPETTACOLO E' SERVITO!

Geoffrey Di Giacomo, Museo Laboratorio Università La Sapienza, Roma, 2010

Se reputate l’opera di Impellizzeri gioiosa, scherzosa, divertente, allora siate sicuri che vi sfugge qualcosa, e credetemi, non siete ancora addentrati pienamente nella comprensione del suo operato. Apparentemente colorite e attraenti, le performances di Francesco Impellizzeri non palesano un teatrino sul quale fischiettare; inutile, poi, incitarne il bis a squarciagola, sappiate che non ci sarà. L’artista interpreta ruoli determinanti della società moderna, il messaggio è diffuso da varie figure che sembrano appartenere all’appariscente mondo dell’immagine. Una vetrina spettacolare della scena performativa nella quale i suoi personaggi vestono i tempi e le modalità della rappresentazione teatrale. Così l’artista definisce i suoi personaggi: “I miei personaggi hanno una vita autonoma, indipendente dalla mia. Usano il mio corpo per favorire una loro completa esibizione”. L’opera di Impellizzeri transita in una sorta di indipendenza immaginaria con degli effetti in parte dislocati e riversati nella nostra quotidianità. Un’opera che gode di autonomia quindi, in cui l’interpretazione della realtà è frutto di un’esperienza determinata da una fusione momentanea tra l’artista e il suo protagonista. Una travolgente trasformazione di una realtà fantasmagorica libera il pensiero dalla costrizione oggettuale lasciando solo una visione della sua azione trascinatrice? Azzardo a dire che, una volta conclusa l’esibizione, i personaggi di Impellizzeri deambulano da qualche parte per il mondo ripassando i gesti della loro poetica in quanto certamente riconducibili alla vita e a persone che ci circondano.

Il medium-corpo è parte dell’opera o permette solo la trasformazione e rivelazione del pensiero? Oggi si può certo affermare che il medium trasmette un messaggio a sua volta significativo, specialmente se visto in termini mediatici odierni. In questo caso non è la sola performance in quanto azione a determinarlo, ma il soggetto-opera creato dall’artista. La società, vista con gli occhi di Impellizzeri, agisce sul filo del proibizionismo, nella categoria della disuguaglianza che costringe l’individuo all’isolamento. Le tentazioni del diabolico Flambè, pronto ad ingannare il prossimo distribuendo caramelle in cambio di un’illusoria e immediata felicità “consumistica”; la sessualità camuffata e violata di Madame 700 illuminata con luci ad interferenza in OOOH!!!; il maschilismo esasperato del motociclista-macho che sfreccia sulle note della canzone “Harley Davidson” di Brigitte Bardot scritta da Sérge Gainsbourg nella performance intitolata Motocicletta; sono palcoscenici in cui vengono messi in discussione i problemi incentrati sulle debolezze delle persone, le incertezze di coloro che vivono la società contemporanea a pieno regime, costretti a mascherare la propria identità perché l’alternativo o il diverso viene visto come componente da abbattere. L’artista incarna il super eroe don chisciottano dei giorni nostri? Si può affermare che Impellizzeri inscena uno spettacolo dove si manifestano non solo i lati negativi della società contemporanea, ma anche quei valori declinati dal mondo dell’arte. In tal senso l’ironia, che spesso accompagna il suo lavoro è da considerare come punto chiave e integrante del suo linguaggio. Tale operazione gioca un ruolo fondamentale dove il messaggio non è mai del tutto rivelato e costituisce un’arma con cui l’artista tende di soppiantare sistemi di potere in corso. La sua forza comunicativa poliedrica irrompe nell’arte con una spettacolarità esibizionistica ripetuta grazie all’abilità interpretativa tipica dell’attore del cinema in certi casi, del teatro nella sua grande e minimale esercitazione gestuale in altri, e ancora nelle vesti del conduttore d’asta nell’ultima performance Signore e Signori buona sera, il quale presenta in passerella una sfilata di opere d’arte.

Il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università di Roma “La Sapienza” ospita una retrospettiva della produzione dell’artista riguardante le performances attraverso un percorso dinamico e flessibile. Un allestimento studiato nei minimi dettagli per l’occasione dialoga con una scenografia che accompagna le opere di Impellizzeri negli spazi asettici del museo. Un viaggio nella performance stessa potremmo dire, tra produzione e azione dell’artista, dove ogni elemento fa parte di un quadro che è l’espressione di 20 anni di ricerca a favore di un’arte impegnata nella rivalutazione di alcuni schemi sociali e culturali della nostra era contemporanea. 

I personaggi di Impellizzeri non fanno di un’attrazione emblematica dell’immagine un modello di vita incondizionata. Preferiscono sfidare l’esperienza consolidata in una società moderna tipica degli anni 80-90, dove _ forte il cambiamento di marcia e lo stile di vita rispetto ai decenni precedenti. I primi personaggi, UnPoPop e Rinkoboy, manifestano sin da subito le intenzioni a decifrare quegli stereotipi collettivi appoggiati su un’estetica della moda e dello spettacolo: elementi primari del business globalizzato. Unpopop denuncia l’arte da vetrina pensata come apparenza estetica e oggetto interscambiabile che favorisce un’industria di sola produzione.  

Sostenute da ideologie liberali e modi di fare alla “borderline”, le creature inventate da Impellizzeri mostrano una trascendenza che a volte potrebbe sembrare trasgressiva, spesso celata  negli  individui  pi_ vicini a noi. Con Impellizzeri il tabù è dichiarato, rivelato, ed è alla portata di tutti, esso si presenta pubblicamente e viene qui contemplato e condiviso. Il pubblico precipita in un’intimità secreta ed è invitato a ripercorrere i limiti di una ombrosa e probabile personalità inconscia.   

I Pensierini sono l’esempio lampante di una visione critica sincera e limpida della vita espressa nei modi di vedere il mondo sotto una forma giocosa, tipica della fase infantile. In realtà, i Pensierini, come tutta l’arte di Impellizzeri, denunciano certi meccanismi e sistemi di coalizioni e di potere esercitati dalla ben nota società dello spettacolo, ma anche del mondo dell’arte stesso, veicolato da un atteggiamento di ghettizzazione attraverso identità consolidate fra di loro. L’Arte camperebbe di quei meccanismi resi noti da Impellizzeri? S.P.Q.R. Family, Tangentart, Gnam Gnam, rappresentano una chiave di lettura di una realtà basata su sistemi di potere in vigore e regole imposte da chi esercita forme di controllo su determinate categorie sociali.  

A primo impatto, le opere di Impellizzeri provocano in alcuni spettatori un senso di disagio, come in Bodyguard, Lady Muk o Madame 700, in cui è attuata un’immagine decaduta del proprio mito attraverso un’aspra satira alla società contemporanea eretta sul vizio, sulla trasgressione istintiva e incontrollata adoperata nel privato. Il consumismo incessante è sostenuto da un’immagine pubblica ripresa e attraversata da Impellizzeri con l’invocazione di doppi sensi, atteggiamento astuto necessario alla sopravvivenza dell’enigmatica aurea dell’opera e, come sosteneva Duchamp, pratica sorretta da “un’ironia dell’affermazione” per giungere a una “bellezza dell’indifferenza”. Il messaggio di Impellizzeri è ben indirizzato ed è chiara la sua volontà di comunicare  tramite allusioni, vuole entrare nello stato inconscio degli individui come accade nella canzone MMMuoviti, o in Diva Divina, dove la critica dell’artista tocca principi alti dei diritti umani come la libertà di pensiero, spesso e volentieri vittima del pregiudizio, capace di interdire le coscienze di intere popolazioni. In Art Saint Loop l’artista diventa portavoce di un messaggio ideologico forte e ripetuto in loop, che deve arrivare a tutti; una performance dalle gesta calcolate nei minimi dettagli e recitata in quattro lingue, dove si intrecciano arte, religione e consumismo; per lui: “la nuova formula dell’arte devi cantare: dà dà dà dà – dì dì dì dì – do do do do – dù dù dù dù”.  

Il travestimento di Impellizzeri suggerisce una volontà di mascherare la propria identità per possederne altre, di ricorrere a una “versatilità psicologica” di quei ruoli che sente di rivestire.  Pittore, coreografo, musicista, poeta, cantante, attore, disegnatore, regista, ecc.., come spesso accade con i grandi maestri, è nell’arte che Impellizzeri decide di riversare ogni sua abilità umanistica, di percorrerne i limiti linguistici per decorare la scena artistica. Riconosciuto dalla critica estera come anche da quella italiana, Francesco Impellizzeri è un’artista perfezionista interdisciplinare, sia del sonoro che del visivo, infatti compone spesso le basi e i testi musicali e realizza i vestiti che indosserà nelle performances. E’ da considerare figura portante dell’arte performativa italiana di fine 20esimo e inizio 21esimo secolo. La perfezione esecutiva e il minimalismo estetico caratterizzano i suoi lavori e sono alla base delle sue azioni, sia interne che esterne all’opera e, definiscono in modo esemplare la fase organizzativa e di preparazione dell’intera scena, senza esitazioni e improvvisazioni, proprio come accade nel teatro di scena. Vigente a ogni particolare estetico, il dialogo professionale tra curatore e artista è scorrevole e costruttivo, quest’intesa porta a una realizzazione eclettica dell’evento. 

In pieno postmodernismo, Impellizzeri fa una scelta non facile e ammirevole adottando un linguaggio consolidato nei decenni precedenti: la performance. Mentre gli artisti internazionali seguono un’arte supportata da medium innovativi con un linguaggio legato all’evoluzione tecnologica (come la Videoarte), Impellizzeri si cimenta in un’arte che definirei Body Pop Art; un’Arte che riprende l’analisi teorica e visione del mondo consumistico intrapreso dalla Pop Art americana, inserita poi in un contesto d’azione per mano della performance corporale. Una Pop Art portata a misura d’uomo attraverso la Body, interpretata e vissuta dalla società di m’ di una visione estetica che de-miticizza l’esperienza con l’arma dell’ironia e della semplicità mediatica vissuta in prima persona dall’artista. Allora si annuncia qui la forza di Impellizzeri, nel non seguire un’apparente evoluzione storica svoltasi nella corrente Storia dell’Arte e di tenersi in autonomia. Isolandosi se necessario l’artista rifiuta un’idea troppo concettuale dell’arte pur di sostenerne una propria concezione attivista e dinamica dell’opera. Un’arte assolta da una pratica “artigianale” esercitata dall1artista con cui si baratta, un1arte che diventa sempre più moda di se stessa e merce di un sistema in vigore.

A un’Arte di “tendenza” o da “seguire” o di “definizione”, Impellizzeri risponde con una trasparenza concettuale a favore dell’Arte stessa, in cui è lecito e palese all’interno del suo lavoro l’inseguimento e rivelazione dei valori e principi che sorreggono i diritti umani, un livello in cui l’Arte si presume sia l’unico e irrefrenabile canale d’azione.  

“In una società in cui gli stimoli istintivi vengono placati dalle innumerevoli “proiezioni” quotidiane da parte di chi dirige i sistemi di comunicazione, e quindi in definitiva di un’immagine che sostengo oggi sorretta da un’ “illusoria interattività”, in cui l’occhio non fa più solo la sua parte ma simula altri sensi e altre realtà, ed è la parte unica e essenziale della nostra vita a favore di una società che conta solo grazie all’immaginazione di una proiezione esistenziale in una macchina; l’artista deve trovare il modo di riemergersi in una dimensione naturale della vita con un’attiva e sensoriale intromissione fisica, in un corpo e in una forma reale e dominante, dove le capacità intuitive e percettive orientate tra ordine e caos favoriscono un’unica e perfetta interpretazione e creazione del genio.”